1968    LOTUS n° 5. Ed. Alfieri VENEZIA

1968    METRO n° 14, Ed. Alfieri VENEZIA

1970    Design Italia 70 ed. Achille Mauri

1972    G. I. Southem Europe, Ed. A.D.A. Edita Tokio

1973    G. I. Apartament inerions n° 5, Ed. A.D.A. Edita Tokio

1974    G. I. Houses in Southem Europe 2 n° 8, Ed .A.DA. Edita Tokio

1977    Houses Architects live in di Barbara Plumb

1979    I° Biennale MONZA Ed. ASS. Biennale

1981    Nove Ville d'Autore di Vercelloni/Natalini, Ed. Condè Nast MILANO

1982    OTTAGONO n° 67/ Ed. CO.P.I.N.A. srl. MILANO

1982    La Casa Calda di A. Branzi, Ed. Idea Boocks MILANO

1984    La Casa Calda Ed. Idea Boocks MILANO

1985    Repertorio del Design di Mazza & Gramigna Ed. Mondadori VERONA

1985    Italian Style di Tondino/Sabino Ed. Clarkson/Porter New York N.Y.

1985    Styles of Living di Vercelloni Ed. Condè Nast/Thames & Hudson Ltd.

1987    The Italian Design/Descendants of Leonardo da Vinci, ed. Graphic-Sha Publishing CO Ltd Tokio

1988    Il Giuoco del Design di R. De Fusco, ed .Eletta Napoli

1988    Women in Design di Liz Mc Quiston, Ed. Rizzoli New York N.Y.

1988    ABITARE Italia di g, Raimondi Fabbri Editori

1990    Mondo Material Steelkase Inc. Ed. R. A. Peltason New York

1990    Creativitalia The Joy of Italian Design Ed. Eletta

1991    The Italian Forniture di F. Shimizu Ed. Graphic -Sha Publishing CO Ltd Tokio

1992    Shoten Kenghiku n° 6 vol. 37 Tokio

1995    Arte e Design /La sindrome di Leonardo di Biffi Gentili Ed. Allemandi

1995    Dizionario del Design Italiano Ed. Cantini

1996    Contemporary Italian Forniture di C. Morozzi, Ed. L'Archivolto MILANO

1997    Arte Contemporanea in Italia - 46/97 I. G. De Agostini

1998    Design Venture in italia Vol. 242 ed. Dep. Design Yun-Yeo Shin Seul

1998    Arte Contemporanea Italiana Ed. De Agostini Novara

1999    Case D'Autore 90/99 Ed. F. Motta

2000    II Design nell'Arredamento Domestico di Mazza & GramignA Ed. Allemandi

2000    Aperto Vetro di M. Romanelli Ed. Eletta

2001    The Italian Way Ed. Modo

2001    Italy Contemporary Domestic Landscape 45/2000 ed. Skirà

2001    Italy Contemporary Domestic Landscape 45/2002 ed. G. Bodoni

2001    Design the Italian Way Editoriale Modo

2001    ABITARE n° 406 Ed. Abitare Segesta

2002    Luce di F. Ferrari Ed. U. Allemandi Torino

2002    Storia dell'Arte Italiana del Novecento di G. Di Genove Ed. Bora BL

2003    La luce italiana di A. Bassi Ed. Electa

2003    “50/2000 Theater of Italian Creativity” Cosmit

2003    FLARE n° 34 “Light IT4S a Neon Line3

2005    La Leggenda degli Artisti di Calice L. Editore De Ferrari

2006    NANDA VIGO “Light is Life” Ed. Johan e Levi.

2006    NANDA VIGO ed. Abitare Segesta

2006    Die Neue Tendenzen 61/63 Ed, Museum fur Konkrete Kunst Ingolddtadt

2006    ZERO Avant - Garde Inter. Ed. Hatje Cantz

2007    CAMERA CON VISTA Ed. Skirà

2008    Towards New Worlds Ed. Toselli

2008    Interni 70 Ed. Verba Volant Londra

2008    ZERO 57/66 Ed. Sperone Westwater New York

2010    Nanda Vigo Interni n° III Ed. Mondadori 

2011    Jef Verheyen “end friends” Asa Publishers/Langen Foundation –Neuss (D)

2014    "Light Trek : Nanda Vigo" , 2014 Bilingual edition -  Publisher: ABC-ARTE Srl , ISBN 9788895618036 

 

 

DOMUS MAGAZINE

1965    DOMUS n° 432

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MAGAZINES (OTHER)

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1974    CASA VOGUE n° 39

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2004    INTERNI n° 12 Dic.

2004   CASA AMICA 7/8

2007    CASE DA ABITARE n° 111

2009    ARTE CONTEMPORANEA n° 17

2010    INTERNI n° 1/2

 

LIGHT TREK

Nanda Vigo, opere 63/014

Dominique Stella

 

La mostra riprende alcuni dei temi principali sviluppati da Nanda Vigo nel corso della sua attività, dalle opere iniziali degli anni ’60 (Cronotopi) ai lavori più recenti (Deep Space), di cui ha esposto le prime variazioni nel 2013. Il titolo Light Trek suggerisce questa traiettoria di luce che da sempre la guida e che nell’esposizione è rappresentata da quattro espressioni emblematiche del suo lavoro: 1) i Cronotopi degli anni ’60, che oggi sono esposti al Guggenheim Museum di New York; 2) i Light Trees, che determinano uno degli assi principali della ricerca dell’artista negli anni ’80 e segnano un periodo transitorio, in cui tecnologia e poesia si affrontano per trasmettere al meglio l’espressione delle forze vitali e l’aspirazione alla verticalità emblematica dell’albero; 3) le Light Progressions, che appartengono a un progetto elaborato all’inizio degli anni ’90 e che trova ancora oggi innumerevoli variazioni, collegano i principi cronotopici a una ricerca sulla simbologia dei segni in un lavoro sulla luce di forte suggestione visiva; 4) infine le opere appartenenti al ciclo Deep Space, apparse recentemente: attraverso la loro triangolazione direzionale e l’irraggiamento sfumato che le circonda esse generano un’impressione di immaterialità che sembra proiettarle in uno spazio stellare.

Questa mostra illustra la forza creativa di Nanda Vigo la quale, a partire dagli anni ’60, secondo una pratica in continuo rinnovamento, lontana dagli stereotipi e dai marchi di fabbrica, ha prodotto un’opera considerevole che ha influenzato una generazione di artisti e designer con la sua originalità e la sua esemplarità. La pratica singolare della sua arte esalta il suo lavoro sullo spazio che unisce nelle sue opere l’immaterialità dei giochi di riflessi e di luce, di trasparenza e di illusione soggettiva. Sempre all’avanguardia delle ricerche artistiche, Nanda ha saputo collaborare con le personalità più insigni del mondo dell’arte del suo tempo, restando tuttavia fedele alle sue aspirazioni fondamentali. Il suo obiettivo mira a superare le contingenze tecnologiche, di cui fa uso con la massima esperienza, sapendo coglierne i valori più immateriali allo scopo di annullare ogni concetto di materia e raggiungere un ideale di natura filosofica e spirituale. Il suo lavoro si rivolge, di conseguenza, ai centri di percezione sensoriale come vettori di informazioni di ordine mentale e psicologico. Nanda ha sempre privilegiato la sperimentazione e l’esplorazione di vie nuove: performance, installazioni, happening fanno parte del suo linguaggio artistico, parallelamente all’esercizio dell’architettura che l’ha naturalmente condotta verso il design. Il suo lavoro rivela l’essenza della forma e della luce da cui ha saputo trarre opere uniche, atemporali, al di fuori di ogni definizione estetica, in grado di interagire, attraverso il loro irraggiamento, con le vibrazioni invisibili del mondo.

 

Genesi dell’opera

È a Milano, nel 1959, che inizia l’avventura artistica di Nanda Vigo. Dopo gli studi di architettura al Politecnico di Losanna, si reca negli Stati Uniti per iscriversi alla scuola fondata da Frank Lloyd Wright a Taliesin West, in Arizona. Presto delusa dai metodi d’insegnamento del celebre architetto, lascia Taliesin e prosegue il proprio apprendistato a San Francisco, presso diversi studi di architettura.

Alla fine del 1959 torna a Milano e apre un proprio studio. In quei primi anni ’60 la metropoli lombarda è animata da un’effervescenza nuova sprigionata da un gruppo ristretto di artisti emergenti i quali prendono ispirazione dalla figura carismatica di Lucio Fontana. Nanda partecipa a questo rinnovamento, intraprendendo nel 1959 la sua prima realizzazione degna di nota: la Zero House o Casa Pellegrini nella quale mette in opera le sue teorie nascenti sulla concezione globale di uno spazio modellato dalla luce e dal gioco dei suoi riflessi su pareti di vetro satinato. Lei stessa descrive così quello spazio: “Le pareti erano costruite con lastre di vetro satinato che nascondevano un’illuminazione al neon a tre colori, bianco, verde e blu. Un comando manuale permetteva di scegliere il colore preferito nei vari momenti di utilizzo dell’ambiente”.

Incontra Fontana e Gio Ponti e con quest’ultimo collabora alla realizzazione della Casa sotto la foglia (1964-68). Ponti, che per la prima e unica volta in vita sua firma un lavoro a quattro mani, le lascia completa libertà nella realizzazione degli interni. Al suo riguardo Nanda ama dire: “Ponti, il cui lavoro, per me, è a 390 gradi, mi ha insegnato la complessa semplicità del progetto. Che esso sia monumentale, come un grattacielo, una chiesa o un palazzo, o minimo, come un piatto o un bicchiere, deve sempre essere svolto con lo stesso impegno, amore e anche coraggio di capovolgerlo completamente in dipendenza di condizioni inadeguate. Lui mi ha inoltre confermato la sicurezza dell’intervento globale”.

L’affermazione delle sue convinzioni in campo artistico permette a Nanda di integrare le proprie ricerche in materia di architettura e di design, che ella sviluppa come luogo di sperimentazione associando un grande rigore costruttivo allo slancio creativo e dimostrando un amore per certi materiali (vetro, metallo, specchio) ai quali rimarrà fedele nel corso di tutta la sua attività.

Quanto a Fontana, egli simboleggia allora l’audacia inventiva, “l’eleganza, l’impulsività creativa, il coraggio di infiltrarsi in un buco spaziale già nei lontani anni ’30”, secondo le parole di Nanda. Le realizzazioni di questo grande precursore sono determinanti per la generazione di giovani artisti alle prime armi in quella fine decennio a Milano. Esse rappresentano per Nanda la conferma di un’intuizione fondamentale, percepita già nella sua prima giovinezza di fronte al gioco di riflessi luminosi che animavano la facciata della Casa del Fascio di Giuseppe Terragni a Como. La spingono anche a consolidare la propria ricerca nel quadro di una scuola di pensiero che congiunge le sue esperienze architettoniche e artistiche, rifiutando il paradigma storicista della preminenza di un genere su un altro. Ad ogni modo, diventa evidente per lei che la luce, nella sua forma naturale così come in quella artificiale, rappresenta il materiale a partire dal quale potrà concepire la sua opera.

In varie occasioni Nanda confermerà il proprio attaccamento a questi due giganti dell’arte, che in seguito assocerà a Piero Manzoni1 in numerosi omaggi dichiarando: “Rispetto, coraggio, amore, armonia. È quello che l’incontro con tre personaggi conosciuti negli anni ’60 ha portato nella mia vita”.2

 

Milano anni ’60: un’avventura europea

Nanda Vigo frequenta il mitico quartiere di Brera, che accoglie allora tutte le manifestazioni e i dibattiti nascenti attorno agli artisti più contestatari e radicali del momento. Vi si ritrovano, con Lucio Fontana, i giovani Piero Manzoni, Gianni Colombo, Enrico Castellani, Vincenzo Agnetti e tanti altri che costituiscono allora un piccolo gruppo di personaggi determinati a imporre la loro nuova visione del mondo. Questi anni sono ricchi di scambi e definiscono un momento particolare della storia, tra Milano, attorno ad Azimuth creato da Castellani e Manzoni, Düsseldorf con il gruppo Zero e Parigi con i Nouveaux Réalistes e il GRAV. L’epoca è propizia agli scambi e alle aperture internazionali; al pari di Heinz Mack e Otto Piene, fondatori di Zero a Düsseldorf nel 1957, gli italiani viaggiano, pubblicano, espongono. La Galleria Azimut fondata da Manzoni a Milano nel 1959, accoglie un programma intenso di eventi e scambi. Questa comunità artistica europea aderisce a un pensiero che le riviste “Zero”, del gruppo tedesco, e “Azimuth”, dei milanesi, veicolano favorendo una circolazione di idee fra l’Italia, la Germania, la Francia, l’Olanda, il Belgio, la Svizzera.

Fin da allora Nanda Vigo si pone in una dinamica poetica e cosmica più vicina alle teorie di Zero che a quelle di Azimuth. Zero intende trasmettere uno slancio verso il rinnovamento, esplorando le capacità di materiali ancora poco sfruttati nell’ambito artistico e stimolando le sensazioni legate al movimento e alla luce. Zero suggerisce di porre l’uomo in un sistema di riferimenti universali che non conosce limiti né di tempo né di spazio. Per convinzione e affinità Nanda Vigo si lega quindi al gruppo tedesco, di cui adotta i principi fondamentali del “cosmic power”, privilegiando l’esplorazione piuttosto che l’analisi, ispirandosi a teorie filosofiche piuttosto che a dottrine estetiche, alle quali non aderirà mai. E a partire dal 1963 rafforzerà i rapporti con gli esponenti del gruppo Zero, contribuendo a diffondere il loro lavoro in Italia e in altri paesi europei.

 

I concetti fondanti della cronotopia

Nanda Vigo è da sempre interessata all’espressione collettiva delle idee nascenti. Ciò la porta fin dagli esordi a frequentare i gruppi più attivi di quel periodo di grande fermento, il che le offre l’occasione di avvicinarsi ai principali leader carismatici del momento, in particolar modo ai tedeschi Mack, Piene e Ueker.

Fontana rimane tuttavia l’ispiratore incontestato di questa rinascita, e quando Nanda, nel 1961 vuole definire alcuni assiomi di base che le permetterebbero di orientare la propria ricerca chiede a Fontana di elaborare un nuovo Manifesto da affiancare al Manifesto Blanco e ai Manifesti dello Spazialismo. L’enunciazione di questi valori fondamentali è essenziale per definire la propria teoria e pratica personale che si articola attorno a quattro punti:

 

1. Superare il ricordo per conferire al concetto il potere di esprimersi.

2. Affermare uno spazio che abbia una dimensione spirituale per definire la misura della nostra necessità.

3. Realizzare ordine, armonia, equilibrio, purezza: l’essenziale.

4. Comprendere la condizione del finito nell’infinito, nella realtà dello spirito trovare la verità dell’essere”.

 

Questi elementi fondanti le permettono di verificare le proprie intuizioni e la incoraggiano sulla sua strada, al di fuori di ogni appartenenza o affiliazione. Benché abbia saputo raccogliere l’insegnamento dei suoi maestri, Nanda Vigo rivendicherà sempre un’indipendenza totale, rifiutando qualsiasi etichetta.

Anche la sua adesione a Zero è più filosofica e spirituale che formale; la singolarità delle sue creazioni e la molteplicità dei suoi interessi la guideranno sempre in una direzione tutta personale, edificata sulle basi di un’esperienza professionale esigente e rigorosa. La sua particolarità nasce dalla maturazione dei propri concetti, definiti a partire da una lucida conoscenza delle tendenze internazionali del momento, e arricchiti da confronti a volte violenti con gli artisti della sua generazione. Ma, più di tutto, la sua intuizione e la profonda conoscenza delle energie e dei flussi invisibili che circolano nell’universo le permettono di dare corpo a una mitologia cosmica ancorata nella realtà del nostro tempo e, soprattutto, proiettata verso l’eternità del divenire.

Il suo obiettivo è andare al di là dei dati tecnologici per ricavarne e svilupparne i concetti più sottili e immateriali, al fine di annullare l’idea stessa di materia, raggiungendo così un ideale di natura psichica e filosofica. Il suo lavoro attiva i centri di percezione di base al fine di suscitare sensazioni quasi perturbatrici di tipo fisico, emotivo e psicologico.

Nel gennaio 1964 Nanda Vigo enuncia in un nuovo manifesto i principi fondatori della sua pratica creatrice, a partire dalla quale già dal 1959 ha concipito le prime opere intitolate Cronotopi, traducendo con tale denominazione la propria ricerca filosofica sui concetti di tempo e di spazio. E afferma così le sue convinzioni:

 

Informazione

concetto filosofico – cronotopia o postulato cinquedimensionale introducente alla dimensione

concetto geometrico – il rettangolo e il quadrato inscrivono ogni altra forma geometrica

Ritengo quindi che dovendo tradurre esteticamente un codice di comando atto a triggerare un’informazione attraverso una scelta precisa queste forme siano le più atte a concretizzarlo in armonia con il postulato cronotopico

estetica direzionata all’informazione – attraverso i gates (porte) aperti dal codice di comando dell’estetica direzionata, lo spettatore ha la rivelazione cronotopica-adimensionale

Ho cercato – dice – la smaterializzazione dell’oggetto creando false prospettive, facendo in modo che lo spazio attorno alla persona che guarda si identificasse con l’oggetto stesso”3

 

I Cronotopi

Cronotopo è al di fuori del centro, verso la non-dimensione, verso la metafisica che, fondendosi con la realtà del materiale, acquisisce un’estrema precisione nel suo lavoro”,4 scrive Jan Schoonhoven. L’abolizione di ogni dimensione temporale e spaziale corrisponde in Nanda Vigo alla volontà di accedere ai gradi superiori dello spirito. Etimologicamente Cronotopo significa tempo-spazio, esso mette in scena la luce indiretta, filtrata dai materiali che generano impressioni di mutazione, sensazioni incerte nella percezione dello spazio. Nanda concepisce quest’ultimo come un luogo di ricerca sperimentale in cui la variabilità degli effetti di luce induce una percezione indefinita delle forme. Si tratta di un concetto filosofico destinato a rompere e superare i limiti fisici dello spazio per giungere a un benessere psicologico. L’artista raggiunge questo stato ideale attraverso l’ottimizzazione della variabilità della luce al neon, integrata a una struttura di vetro e di alluminio. Questa unione crea una perturbazione visiva amplificata dalle superfici riflettenti. È una concezione globale alla quale Nanda attribuisce il nome, appunto, di Cronotopo.

Le sue prime realizzazioni integrano questa nozione di percezione ambigua e smaterializzata dello spazio attraverso una lettura filtrata, rinviata per riflesso, di sorgenti luminose naturali o artificiali. L’effetto è ottenuto mediante l’impiego di vetri smerigliati o scanalati che restituiscono impressioni di luci colorate o neutre. L’oggetto è delimitato nella sua forma da una struttura di alluminio che serve da agente conduttore di questa energia atemporale e spaziale.

Questo concetto darà vita, nel corso degli anni ’60, a numerose interpretazioni, sempre quadrate o rettangolari, secondo la definizione della teoria cronotopica. L’artista la declina sotto forma di opere che concepisce come generatori di luminescenza e di energia al tempo stesso immateriale e atemporale. Realizza così Cronotopi di piccole e medie dimensioni (da 40 x 40 cm al più grande di 100 x 200 cm); altre opere sono concepite come “sculture” a terra o su piedistalli, altre infine sono “ambienti”, installazioni o luoghi sperimentali. Il visitatore è chiamato a penetrarvi per rigenerarvisi, abbandonando i propri riferimenti abituali e lasciandosi trasportare da sensazioni ignote attivate dall’illusione di riflessi moltiplicati della propria immagine, in un’atmosfera dai bagliori diffusi colorati da neon blu, viola o rossi. Lo spazio è modificato dall’illusione di variazione delle superfici che sfuggono alle leggi razionali della prospettiva, a volte sottraendosi al tatto.

Nel corso degli anni ’60, soprattutto, Nanda riproduce più volte gli ambienti cronotopici in gallerie e musei, adattando il proprio concetto di spazio-tempo non misurabile a molteplici contesti che lo spettatore vive sempre con emozione e stupore. Una delle realizzazioni più spettacolari è l’Ambiente spaziale - Utopie realizzato alla Triennale di Milano nel 1964 insieme a Fontana. Un’altra sua sorprendente sperimentazione è data dalla concezione, nel 1965, di un Labirinto cronotopico nella sala espositiva Ideal Standard di Milano, di cui Gio Ponti è direttore artistico. Poi, nel 1967, alla Galleria Apollinaire di Milano, mette in scena un Ambiente cronotopico speculare che moltiplica le pareti di un bianco opaco, illuminate da neon di colore rosso, verde e blu. Seguono l’Ambiente cronotopico al Palazzo delle Esposizioni di Torino nel 1968, l’Ambiente strutturato a percorso presso la Galleria Toselli di Milano... E Nanda proseguirà questi esperimenti cronotopici fino all’inizio degli anni ’70.

 

Light Trees, Light Progress, Deep Space

Oltre i Cronotopi, lo sviluppo successivo del lavoro di Nanda Vigo si fonda sulla base di una ricerca che fa della luce l’elemento motore della sua ispirazione, rivelando forze invisibili e attivando un’aspirazione all’armonia universale di ordine cosmico. Il suo pensiero, radicalmente ancorato alla convinzione dell’infinità del tempo e dello spazio, concepisce l’opera come fonte di un irraggiamento la cui emanazione luminosa serve da agente conduttore. E il suo lavoro illustra l’idea che l’arte autentica corrisponda a una proiezione che porta in sé le forme del mondo a venire. Tutte le sue realizzazioni rispondono a questa funzione visionaria dell’arte.

Il percorso di Nanda Vigo è ricco di sempre nuove esperienze e produzioni. Al periodo cronotopico seguono, a partire dal 1970, i Light Projects che rinviano al progetto tautologico dell’arte. Vengono poi gli Stimolatori di spazio, che appartengono a un periodo quasi esoterico della sua produzione incentrata sulla smaterializzazione dell’oggetto. E, dal 1978, il triangolo e il quadrato costituiscono un vocabolario di base di un linguaggio interattivo costruito sul dialogo tra luce e specchio.

Nel 1980 nascono i Light Trees, nei quali l’artista preserva l’aspetto tecnologico in un’evidente armonia poetica ottenuta attraverso l’utilizzo di una simbologia delle forme e dei segni che conducono alla suggestione mentale. Nanda stessa ne dà una descrizione precisa: “La poetica del progetto di questi Light Trees è un racconto di deviazioni sonore, musicali, riunite in schemi formali che si riferiscono alla prima evoluzione dei segni cosmogonici, e cioè alla simbologia dell’albero, considerato dalle antiche scritte come produttore di vita: radici nella terra, rami verso il sole, figurazione logica soprattutto se il ramo apporta la luce la cui propagazione nello spazio ci dà la formulazione matematica, l’unica. Non relativa”.5 Gli alberi di luce definiscono la traiettoria luminosa che porta lo sguardo verso le stelle. Scrive ancora Nanda Vigo:

 

Light Trek

Light è il sentiero delle stelle

Light è l’alfabeto cosmogonico per leggere le galassie

Lights sono gli spazi infiniti dei chakra della mente e del cuore

Lights sono le rifrazioni degli specchi che rimandano labirintici sistemi di luce per perdersi e ritrovarsi

Light è la terra, madre, nel quadrato

Light perfetto, del centro di Cheopes

Light è la svastica dei raggi di Ra, costruttore di vita e di morte nella ruota cronotopica di un divenire luce.”6

 

Dagli anni ’90 Nanda Vigo si dedica a un lavoro nel quale reinterpreta i segni legati alla propria memoria o alla memoria collettiva, tracciati secondo rituali sempre identici che, attraverso la ripetizione e il rigore della loro esecuzione, conducono lo spirito nel cammino della pienezza e della pace interiore. È a questo stato di benessere che l’artista ha sempre aspirato con l’insieme delle sue opere, attraverso le quali vuole trasmettere l’idea che ogni cosa può essere generatrice di energia. A tale concetto appartengono i lavoro prodotti a partire dal 1990 con il titolo Alfabeto cosmogonico.

Negli stessi anni nascono i Light Progress che uniscono il segno, generato attraverso la ricerca cosmogonica, alla luce in una gradazione di colori particolarmente suggestiva. Secondo la definizione di Nanda, i Light Progress sono “variazioni luminose sfumate da lastre di vetro satinato emergenti da una volumetria in vetro nero specchiato che ne sottolinea le vibrazioni”.7 Nel caso specifico la trilogia presentata in mostra, Omaggio a Fontana, Omaggio a Ponti, Omaggio a Manzoni, appartiene alla collezione dei Light Progress del ’93 e ne mantiene la medesima fisicità. Le tre opere ricordano l’attaccamento dell’artista a questi personaggi che hanno significato molto per la sua ricerca; ognuno di essi è citato in riferimento a una forma geometrica particolare, il cerchio per Fontana, il triangolo per Ponti e un rettangolo che è quasi una linea per Manzoni.

Attorno al 2005 appaiono i Totem, di cui esistono due tipologie che Nanda definisce come segue: “Una è detta Neverended Light: si tratta appunto di un totem luminoso sviluppabile in altezza come in lunghezza, praticamente in verticale come in orizzontale, a metraggio infinito, riferendosi al linguaggio dell’albero dei Light Trees; dalla terra, lo sviluppo verso l’etere come portatore di vita. La seconda, definita Goral, è un obelisco portante segnali luminosi in neon che riprendono i segni elementari dell’alfabeto cosmogonico. È una traduzione elementare del più complesso Goral, che nella filosofia buddhista rappresenta la luce della creazione”.8

Le produzioni più recenti fanno parte di un ciclo di opere intitolate Deep Space. Queste ultime testimoniano più che mai la sua ispirazione cosmica: le triangolazioni acute e direzionali delle strutture sottolineate da un alone di luce diffusa, spesso blu, suggeriscono uno spostamento ascensionale; esse somigliano ad astronavi in partenza per l’universo siderale. Il valore simbolico, quasi magico, del triangolo attiva reminiscenze di antiche credenze sempre vive, associate alla storia stessa dell’uomo. Nanda ci propone un viaggio interiore e interstellare, una sorta di epopea che proietta l’uomo in una dimensione superiore dello spirito, dello spazio e del tempo. Le sue opere si vogliono oggetto di coscienza e di conoscenza, testimoniano una simbologia di elevazione e di attrazione raggiante che proietta il destino umano verso “un avvenire di luce”.

 

 

1 A proposito di Piero Manzoni, Nanda dichiara: “Con lui era un sodalizio intenso basato sulle affinità intellettive della vitalità dell’arte. Spontaneamente era già nei suoi testi del 1957 e ’58. Ma fu impossibile lavorare con lui. Potevo essere solo uno spettatore piuttosto cosciente” (testo originale, 5 settembre 2014).

2 Continua Nanda: “Per questo ho ritenuto doveroso ringraziarli parlando del loro lavoro, coadiuvata nella produzione e nella regia da Marco Poma, ovviamente concorde sulla qualità umana e artistica di questi nostri giganti” (parole pronunciate in occasione dell’uscita di Trilogia d’amore. Tre film dedicati a tre maestri dell’arte italiana: Gio Ponti, Lucio Fontana, Piero Manzoni, realizzati con il coordinamento artistico di Nanda Vigo e la regia di Marco Poma, Milano, 2009).

3 Intervista rilasciata a Dominique Stella, 2006.

4 Jan J. Schoonhoven, catalogo della mostra presso la Delta Kunstkring Gallery di Rotterdam, 1965.

5 Testo di Nanda Vigo del 13 settembre 1983, pubblicato in Nanda Vigo. Light is Live, Johan & Levi, Milano, 2006, p. 68.

6 Ibidem.

7 Testo originale del 2 settembre 2014.

8 Testo originale del 2 settembre 2014.