MATTEO NEGRI: DALL’INSTALLAZIONE ALLO SPAZIO DELLA RAPPRESENTAZIONE

Luisa Castellini, ESPOARTE, December 15, 2016

MATTEO NEGRI: DALL’INSTALLAZIONE ALLO SPAZIO DELLA RAPPRESENTAZIONE

GENOVA | ABC-ARTE | 11 NOVEMBRE 2016 – 11 GENNAIO 2017

 Intervista a MATTEO NEGRI  di Luisa Castellini

 

C’è stato un momento in cui ha smesso di guardare alle proprie opere per osservare se stesso mentre stava compiendo proprio questo semplice atto. È stato quello l’istante in cui Matteo Negri ha compreso pienamente come anche la scultura e l’installazione, una volta terminate e diventate oggetti, non potessero sfuggire allo sguardo, compreso il suo, trasformandosi in immagini. La nuova domanda a cui rispondere era allora: come possiamo ricostruire un nuovo tempo per la contemplazione?

La risposta è affidata alla sua mostra in corso a Genova, alla Galleria ABC-ARTE.

 

In che modo la mostra a Genova invita a una fruizione differente?

Tutte le opere nascono da una riflessione sull’oggetto-opera e la sua percezione. Da qui il tentativo di invitare lo spettatore a uno sguardo meno distratto e istintivo. Quando ho collocato nella piazza del nuovo LAC di Lugano una mia installazione (Delle più belle, le parole, manco a dirlo pensano di essere, 2016) ricevevo quasi ogni giorno notifiche di foto postate sui social dai visitatori. La scultura attivava non solo lo spazio urbano: contemplazione e condivisione oggi viaggiano quasi di pari passo. Il dato si velocizza creando una nuova memoria collettiva. La sfida è allora costruire una nuova temporalità per la fruizione dell’opera d’arte.

 

Quale tipo di esperienza induce la fruizione dell’installazione Piano Piano?

È composta da una lastra di ferro cromato trattata in modo particolare e da una di vetro temperato rivestita con una pellicola che stravolge l’abituale percezione in modo diverso da un centimetro all’altro. È come se avessi aperto la scatola che contiene un caleidoscopio liberandone le infinite potenzialità di luce e rifrazione su scala reale. Senza sicurezze e punti di riferimento, l’estraniamento è totale e amplificato dalla presenza di tre scimmie che osservano la scena, ma sono anche metafora, per il gioco di parole, della ricerca spasmodica di qualcosa che non si riesce a trovare.

 

La rifrazione come spazio della ripetizione detta anche le coordinate dei tuoi Kamigami, in che modo?

La parola, in giapponese, indica proprio lo spirito nella sua pluralità. Questa si risolve e si muove dallo spazio dell’opera. Avevo lavorato, in estate, su una vecchia cassettiera recuperata a Genova da un rigattiere, inserendo delle opere e dei piani forati in lamiera dai colori cangianti con i bordi specchianti. Ancora una volta un caleidoscopio, ma questa volta su scala domestica. Ho provato a trasportare questa sensazione eliminando la cassettiera e ricostruendo delle scatole singole, tonde o quadrate da esporre sul piano verticale.

 

In che modo questa mostra si collega alla tua recente esperienza a Casa Testori?

È stata la prima volta in cui ho spostato lo sguardo dall’opera al modo in cui la fruiamo. A Casa Testori ho costruito delle scale fucsia con le quali salire fino alle finestre e osservare le installazioni dall’esterno verso l’interno. Lo spazio si è riattivato, in questa nuova fruizione, e così le opere e gli stessi spettatori, che sono stati obbligati a osservarle da lontano. Questa esperienza emerge a Genova con opere che per la loro natura riflettono, distorcono e producono dissonanze.

 

Come avviene la riconciliazione tra spaesamento e spazio della rappresentazione?

Ho realizzato un wall drawing, dove sembra di essere bombardati dalle informazioni, sul quale sono installate due PSA (Pittura su Alluminio) che invece detonano una grande profondità. Si crea così una frattura. Il possibile, l’infinito, è consegnato alle coordinate della rappresentazione, allo spazio codificato dalla cornice, e soprattutto da quello lasciato vuoto, inteso come orizzonte del possibile.

 

Spazio urbano e vissuto collettivo, e quindi, ancora una volta, pluralità di visioni: dove ci portano le cartoline e il pendolo in mostra?

A Genova, ai suoi luoghi più iconici, dove abbiamo montato il pendolo, che è in materiale specchiante. La sua particolarità è che non riflette ciò che ha davanti ma il contesto, deformandolo. Di questo viaggio resta la documentazione fotografica da cui nascono le cartoline, che restituiscono un’altra, tra le infinite possibili, visione della città e della sua immagine.

 

Matteo Negri, Piano Piano a cura di Alberto Fiz

11 novembre 2016 – 11 gennaio 2017

 

ABC-ARTE

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