Ritorna a Genova da ABC-ARTE uno degli artisti torinesi più incisivi del dopoguerra Giorgio Griffa, con la mostra Un mondo astratto non basta che nasce in continuità con la personale del 2015, Esonerare il mondo e con la collettiva nel 2018 Absolute Painting. Giorgio Griffa, Tomas Rajlich, Jerry Zeniuk, sempre in mostra da ABC-ARTE. La mostra è accompagnata da un catalogo con intervista-dialogo tra Leonardo Caffo e Giorgio Griffa e il saggio critico di Alberto Fiz.
Giorgio Griffa, Un mondo astratto non basta, ABC-ARTE, installation view
In galleria ritroviamo 15 delle opere storiche più significative del periodo degli anni ’70 dove l’artista va oltre il concetto standard di pratica pittorica e si affianca alla Pittura Analitica e all’Arte Povera, sviluppando così un pensiero che lo accompagnerà per tutto il suo percorso artistico: “Io non rappresento nulla, io dipingo”. Da lì in poi Giorgio Griffa rompe ogni certezza e inizia a ridelineare un nuovo pensiero, per lui la pittura è un’azione, un mezzo di espressione per poter abbracciare in modo più completo ogni campo artistico della vita che sia di fondamentale importanza per il benessere interiore della propria esistenza; dipingere è quindi un mezzo, non un fine, che si relaziona con altri campi del sapere quali filosofia, musica o scienza.
Giorgio Griffa, Cinque segni, 1979, 70x76 cm, acrylic on jute
La rassegna pone come questione fondamentale il rapporto con la realtà da parte di un atto pittorico che si colloca come indispensabile: “Fare per immagini è faccenda diversa dal fare immagini. Significa avvalersi delle immagini per scovare le infinite possibilità di poesia che si celano nel mondo”. Il titolo della mostra, Un mondo astratto non basta, è molto più che attuale e ci fa riflettere ancora di più sulla nozione di “astratto” che oggi nel 2021, legato alla tecnologia, diventa l’unica vera realtà tangibile, vivibile e fruibile; come d’altronde analogamente astratto è anche il colore, “che prende forma solo nel concreto” (come dice Caffo nel dialogo con l’artista) e l’immateriale prende vita grazie al pennello sulla tela, diventando passaggio di energia del mondo che si concretizza nel segno. Un mondo astratto non basta è per il fruitore anche un “concetto”, un invito a vedere le opere con i propri occhi e non solo virtualmente (come siamo abituati in questo periodo a causa della pandemia), un appello a scrutare tutto quello che ci circonda in modo più concreto, inoltre nel caso specifico delle opere la concretezza è data dal segno e dal colore. Però, un mondo astratto forse può bastare se lo vediamo attraverso le opere di Giorgio Griffa, dove i suoi acrilici su juta e cotone si rivelano sempre meno disegnati e sempre più “segnati”.
Essenziale, indispensabile, primitivo e sostanziale è il “segno”, elemento fondamentale in ogni lavoro dell’artista, a partire dalla prima sala della galleria dove troviamo un’opera di grandi dimensioni dal titolo Obliquo (101 x 185 cm) e Tre Segni invece opera di piccole dimensioni (44 x 62 cm). La juta dipinta non è un supporto fine a sé stesso, ma diventa parte fondamentale del lavoro, se non addirittura principale, un’installazione vera e propria, completata poi con 4 piccoli chiodini sottili ai lati.
Giorgio Griffa, Due colori, 1978, 86x139cm, acrylic on cotton
Nella seconda stanza di ABC-ARTE troviamo 4 lavori: due opere dal titolo Obliquo, di diverse e contrastanti dimensioni (l’alternarsi di opere di formati diversi è una costante in tutta l’installazione della mostra), dipinte in acrilico su juta dai segni obliqui e dai tratti primitivi, ma anche dai colori ben definiti, quali l’arancio e il rosa; nella tela di grandi dimensioni i colori predominanti sono invece l’azzurro e il blu, tonalità che ritroveremo in molti dei suoi lavori. Il blu-azzurro, il rosa, il lilla e l’arancio sono i colori principali che riconosceremo in tutto il percorso della galleria, come riconoscibili sono anche i segni obliqui alternati ai verticali che danno un senso visivo composto, nonostante il segno apparentemente casuale e sporco.
Sia nei lavori degli anni ’70, quelli esposti in galleria, e sia in quelli più attuali, Giorgio Griffa dipinge – anzi segna – solo parte del supporto, dove il suo “non finito” assume con il tempo una valenza inaspettata, significa, come dice l’artista stesso, “omettere sulla tela il punto finale che, così come il punto finale di questa frase, la proietta all’istante nel passato”. Guardando i suoi lavori nella totalità, ritroviamo titoli similari che descrivono bene anche ciò che si vede, come a volere spiegare un tratto e un disegno ben evidente: Orizzontale, Campo Azzurro, Azzurro, Linee Verticali, Segni Orizzontali, Campo Giallo, Campo Rosa, Quattro Colori, titoli che riflettono esattamente quello che scrutiamo: “segni primari”.
Giorgio Griffa, Linee orizzontali, 1973, 68x95cm, acrylic on jute
Un’opera in particolare che ha catturato la mia attenzione è Campo Rosa del 1987 (88 x 56 cm), il lavoro più giovane di questa rassegna; qui la tela si sviluppa in verticale, il segno diventa più disegno e si inizia a scorgere un cielo che viene fuori dalla materia di juta, dei segni rosa scuro che contrastano un rosa chiaro, tutti tondeggianti, curve di paesaggio, curve di colore, curve di disegno come fossero fatti da bambini, dove i segni orizzontali e verticali si alternano in una danza giocosa. Principalmente questo lavoro è un passaggio dal primitivo al contemporaneo, dove l’astratto è evidente, ma non basta… c’è forse bisogno di più di-segno nel mondo? Forse è il momento di andare oltre la tela, oltre anche la tecnologia, toccare con mano e toccarsi le mani.
Benedetta Spagnuolo
16 Marzo 2021