Si avvia a conclusione Sherlters and Libraries, la mostra curata da Pietro Gaglianò presso ABC-ARTE di Genova, ritmata dalle opere di tre artisti: Adalberto Abbate, Gaetano Cunsolo e Davide D'Elia.
Il tema arontato scandaglia problematiche inerenti talune contraddizioni interne alla cultura occidentale e manifestatamente palesi, volendocisi soermare con sguardo critico, nell'edicazione di Biblioteche e Musei, ossia quelle strutture architettoniche - e istituzionali - cui è demandato l'onere di archiviare e conservare la memoria dell'umanità. Il titolo di questa esposizione, dunque, Rifugi e Biblioteche, così quello del testo che l'accompagna dello stesso Pietro Gaglianò: Il Rifugio Perfetto, con velata ironia ma corretta puntualizzazione mettono l'accento sulla rassicurante invenzione insita a Biblioteche e Musei, cioè a quei dispositivi creati ai fini di una precisa costruzione identitaria, ma che, al contempo, sono anche lo specchio di una "cultura" che perpetua continuamente sé stessa.
Cosa s'intende evidenziare con ciò? Un fatto molto semplice: ciò che noi conosciamo e presumiamo di sapere del nostro passato, è soltanto una porzione di esso, scientemente selezionato e percettivamente univoco. Così, la risultante nel presente di quello che noi immaginiamo essere la nostra cultura è il frutto di una visione eurocentrica: fatto che ineluttabilmente genera precise e inalterabili gerarchie. Tuttavia, l'inalterabilità di classicazioni e ordinamenti è messa in discussione proprio da discipline come l'arte, nel momento in cui, agendo, per sua stessa natura, soprattutto in zone "marginali", essa riesamina, scompone e ricompone dati, orendo visioni alternative a quella uciale o mettendo in luce aspetti sfuggenti a un senso comune. Naturalmente, l'arte stessa, in quanto espressione dell'umanità, rientra a sua volta in tale dispositivo di selezione culturale. Lo spiega bene Gaglianò quando cita Vasari e la prima edizione de Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori del 1550 dove la supremazia del Rinascimento centroitaliano è fatta sposare al disegno geopolitico della dinastia di Cosimo I. O parlando di Johann Joachim Winckelmann e la Storia dell'Arte nell'Antichità del 1753, che pone la preminenza dell'arte classica in accordo a una trattazione positivista, di ispirazione scientica. In sostanza, scrive il curatore: «[...] Si tratta un metodo incernierato sulle origini della cultura occidentale e che si accompagna, tra il XVII e il XIX secolo, alle guerre di conquista del colonialismo di matrice europea anticipando alcuni strumenti ottici che saranno poi tipici dell'antropologia: la ssazione di una norma, di un canone (nato dalla sintesi tra modelli estetici, quelli dell'arte, e quelli temporali-causali riferiti alla storia), e l'assunto che questo possa venire utilizzato per categorizzare tutte le manifestazioni dell'ingegno, della creatività e della socialità umane [...]».
Ecco dunque, che nell'idea di Biblioteca e di Museo, dove si concentrano tali concetti, si forma un senso di difesa, di protezione e di Rifugio che, oltre a spiegare il tema della mostra, introduce le opere di Adalberto Abbate, Gaetano Cunsolo e Davide D'Elia, le cui ricerche s'insinuano fra le intercapedini di questo complesso discordo.
Sherlters and Libraries, organizzata dal punto di vista della fruizione come un vero e proprio Museo (a ciascun artista è data una singola stanza della galleria), comincia con le opere di Adalberto Abbate. Si osserva la serie di stampe BUILD.DESTROY. REBUILD dove, oltre il senso di contaminazione e sovrapposizione di elementi e forme e gure eterogene, spesso contradditorie e disturbanti, peculiari alla ricerca dell'artista, sono poste all'occhio di chi guarda immagini devianti la narrazione uciale. Si prenda, ad esempio, l'immagine della nave da crociera Costa Concordia inclinata nel Mediterraneo, cui Abbate sovrappone in primo piano una platea di spettatori da arena estiva. Attraverso questa semplicissima operazione di riorganizzazione delle immagini, l'artista riesce da un lato a sottolineare l'atmosfera spettacolarizzante alla tragedia, tipica della nostra società, dall'altro a sollevare interrogativi sulle ragioni dell'appiattimento morale dei nostri giorni. Scrive sempre Gaglianò: « [...] Il lavoro di Abbate "è una messa a nudo della violenza e della volgarità dell'Italia contemporanea, con la consapevolezza, maturata in gesto d'accusa, che lo stato attuale delle cose è esito di una tragica uidità tra autoassoluzione dei singoli e crimini quotidiani" . Tutte le sue opere sono attraversate dalla critica verso una violenza che lede ogni naturalezza nelle relazioni umane e inibisce la coscienza sociale [...]». Abbate, inne, è presente in Sherlters and Libraries anche con la serie Rivolta. Si tratta di porcellane di Capodimonte o Meissen, statuine che, nel fare il verso a un gusto e un'estetica tipicamente piccoloborghese nazionale, e rielaborate con innesti di elementi incoerenti al manufatto (gure incappucciate in un passamontagna di lana nero) genera un sottile spaesamento nell'osservatore, spingendolo a una riessione sull'inltrarsi della violenza anche nello spazio privato.
La mostra prosegue poi con il lavoro di Gaetano Cunsolo, il quale propone opere propriamente incentrate sul concetto di rifugio/rovina. In pratica l'artista imita nella sua produzione la pratica dell'autocostruzione, ossia rielabora formalmente quei ripari improvvisati che nelle città europee e nelle aree rurali rappresentano «[...] l'anomalia, il cortocircuito, lo spazio di improvvisazione culturale che resiste alla pianicazione urbana e all'industrializzazione massiva della prassi edilizia e produttiva [...]» (Gaglianò). Il lavorare ai e sui "margini" di Cunsolo pone in evidenza quella "resistenza sociale e culturale" esistente, reale e presente, costantemente oscurata (sottaciuta, denigrata, emarginata) dal sistema uciale, che si tramuta in evocativi paesaggi metaforici, rappresentativi per l'artista una realtà costituita da forti tensioni identitarie che, nella sua visione, rigenereranno, volente o nolente, proprio quei margini della civiltà. A queste opere, se ne aancano, inne, altre dal tenore più poetico: reperti e frammenti su fogli di carta millimetrata custoditi in teche da raccolta archeologica.
Inne incontriamo le opere di Davide D'Elia, il cui lavoro si concentra su quelli che possono essere deniti "Residui del Tempo". I suoi quadri sono propriamente divisi a metà. Da un lato si osservano porzioni di arredi, tessuti, dipinti e altri oggetti d'antiquariato nella loro originalità, ossia sottoposti all'inesorabile trascorrere del tempo e di conseguenza al loro deterioramento. Questi stessi elementi, nell'altra metà del quadro, sono ricoperti con uno strato di colore blu, una vernice antivegetativa, correntemente impiegata per proteggere gli sca e che, metaforicamente, dispiega quella volontà conservativa che anima tutte le azioni di difesa di quella presunta unitarietà del carattere nazionale e culturale intrinseca alle istituzioni della memoria identitaria (Gaglianò). Dunque, spiega sempre Gagianò, «[...] il contrasto tra le due parti delle opere di D'Elia rivela l'evidenza: la materia non verniciata continua a scorrere nel tempo subendo il degrado biologico, invecchia e si corrompe in un movimento vitale di sostanze inerte e organismi. L'altra parte, nel perseguire una articiale immutabilità, è bloccata in una mimesi grottesca della natura (perché con le migliori intenzioni quel blu sintetico sarebbe il colore dell'acqua): una condizione denitivamente sterile che con i cicli della natura, e con quelli della storia, ha poco in comune [...].
In sostanza, il messaggio è chiaro: la manipolazione di dati e fonti da archiviare, falsica inesorabilmente la Storia. Non potendo invertire questo processo culturale, le cui fondamenta sono bene radicate nella società, ieri come oggi, possiamo, tuttavia, come suggerisce la mostra Sherlters and Libraries almeno «[...] deviare lo sguardo dalle messe in scena della tradizione per "reimparare a sentire il tempo per riprendere coscienza della storia" , come Marc Augé ritiene che debba avvenire al cospetto delle rovine, senza sentimentalismi, facendo un'esperienza "del tempo puro" [...]». (Gaglianò).
Fino al 6 ottobre 2017
ABC-ARTE - Via XX Settembre 11A, 16121 Genova - Italia