La pittura assoluta a Genova
ARTE CONTEMPORANEA
Griffa, Rajlich, Zeniuk. Tre “pittori assoluti” che ci hanno fatto sorgere una domanda: l'arte contemporanea è sempre un prodotto eticamente sostenibile?
Pezzi scelti opportunamente e display filante nel produrre un confronto dialetticamente vivo per tre artisti in piena evoluzione espressiva. Tre “diversamente giovani” sulla cresta di un’onda che questa mostra cavalca stabilmente, riuscendo non solo a far valere capacità singole e singolari, ma ad ampliare anche il dibattito su un genere pittorico tra i meno definiti (la pittura analitica non essendo un movimento specifico è più assimilabile ad una macro area poli-comprensiva sul piano tecnico). E a furia di allargare alla fine salta fuori l’elemento fondamentale, quello che rende artisti provenienti da differenti fasce d’influenza geo-intellettuale una corazzata unita nell’analiticità delle proprie scelte. Tra loro si aggira un compagno fidato, si chiama “tempo pittorico”, per gli amici ritmo. Attore co-protagonista tra linee, tratteggi e quant’altro generato dalla mano libera di Griffa, azione in cui l’artista include interruzioni arbitrarie come pause, come un silenzio che non nega il suono e lanciato addosso al pubblico alla John Cage. Sulla pervicacia del pacchetto gestuale standard può intervenire poi il processo finale, la piegatura della tela, in una cadenzata sotto-struttura a griglia che incrociando la fondamentale percezione ritmica dell’artista torinese la completa.
Le griglie di Griffa sono pura latitanza visuale, una soluzione tangenzialmente analitica che Rajlich porta all’apice della definizione con le sue strutture reticolari “elastiche”, in grado tra gli anni 70/80 di allargarsi/stringersi con una duttilità notevole. E in quei decenni l’artista di Praga è stato in grado d’istituire una sorta di fenomenologia più che della pittura analitica in senso stretto della “meta-analiticità”, producendo opere in cui i suoi adorati reticoli rassomigliano pesantemente a pagine quadrettate, e dove gli sono bastate tre pennellate di acrilico in ogni quadretto per costituire un movimento di smaterializzazione strutturale complessivo degno di un ricercatore di cinetico-programmatico. Se a distanza l’Untitled del 1980 pare in costante dissolvimento è tutto merito di una radicalizzazione sempre più rigorosa raggiunta dal gesto pittorico in quegli anni, ma anche delle sperimentazioni indomite di un artista che non ha avuto il timore di osare, fino a far collassare quella stessa idea di rigore, aprendosi la strada verso nuove percezioni formali. Che non ce ne voglia Griffa, ma Rajlich alza la complessità di questo gioco a tre, dimostrando come il corredo genetico di un analitico possa mutare in modo totalmente inatteso, comprendendo anche i cromosomi orientali di un maestro Gutai nello spennellare l’acrilico con un senso programmatico, in una macchinazione di gesto spinta che pare nata da una costola del movimento giapponese. È un gioco di piani ritmici che a vederlo e rivederlo non passa mai di moda, come la natura infusa nelle grandi tele Untitled 64 e 65 di Zeniuk che gli fanno da contraltare, due monocromi dello stesso decennio impostati sui toni terrosi. Più che proporsi sfrontatamente fanno quasi capolino, spazio dopo spazio, in una collocazione assolutamente ottimale per dar sfogo alla loro fattura analitica “ansiogena”, addizionata da un che di misteriosamente empatico-espressivo nell’offrire variazioni tonali rese lucido-opache dall’utilizzo della cera mista all’olio. In riga con i fondamenti certi nel far capire che la pittura analitica è pittura e nulla più, oggettivazione di uno spazio che non deve fuoriuscire dalla propria bi-dimensione. Escludere dall’azione compositiva i bordi esterni della tela non è perciò un vezzo, ma un obbligo più che formale.
Le uniche due tele d’epoca presenti bastano a costruire attorno a Zeniuk un caso. L’anima dell’artista tedesco non è cambiata, ma la pelle si, e in maniera pesante dagli anni Duemila, da quando propone l’analiticità molto più naif dei suoi “pallettoni”. Dei cerchi che, come i reticoli di Rajlich, tendono ad allargarsi o stringersi a seconda delle esigenze. Il pois è sempre di tendenza, colorato ancor di più; non sconfessa la ricerca spasmodica di un ritmo base e confessa l’azione-flusso di Zeniuk, la sua totale assenza di un pre-ordine, evidente nelle cancellature che l’artista talvolta mette in atto senza troppi problemi, magari spostando una palletta rossa “cascata” un po’ più a destra, nella sua collocazione compositivamente più consona. Il nuovo millennio ha dotato Zeniuk di un’interfaccia user-friendly, rispetto al passato l’ha reso maggiormente vicino agli utenti con l’amabilità delle sue composizioni colorate, che per sintesi strutturale regalano alla pittura analitica una valenza concettuale inaspettatamente impastata al folclore di un rito noto a gran parte della popolazione mondiale. Perché nelle grandi dimensioni Zeniuk lavora un po’ come quando si fa l’albero di natale, e di converso chi compone il suo alberello a dicembre – che già compie una radicalizzazione simbolica non da poco – si avvicina senza saperlo all’impostazione analitico-contemporanea di Zeniuk: entrambi sconfessano una progettualità stringente a favore di un’azione rimodulabile in corso d’opera, mettendo, togliendo e spostando elementi fino ad ottenere una forma compositiva che nel suo complesso non sia solo armonica, ma personalmente assoluta. La libertà “vigilata” insita nelle recenti tele di Zeniuk è il prodotto di una visione analitico-radicale molto partecipativa, molto contemporanea e senza dubbio molto più diretta a sollazzare i neo-collezionisti. Tanto valida nelle intenzioni quanto funzionale asso nella manica di un presente pittorico che, messo a confronto al passato, altrimenti risulterebbe tendenzialmente in perdita.
Fin da principio infatti l’intenzione di fondo era spingere qui il discorso, verso un presente che mette tre artisti di fronte all’opportunità di alcune loro scelte, per tirarci fuori una riflessione a tema. Da Abc Arte mettendo in mostra tre artisti non solo si sono correlate storie individuali tra passato e presente, si è fatto di più, ponendo l’accento su un aspetto fondamentale della sconfinata Pittura analitica, che è la sua attualità/capacità di riflettere in maniera marcata – e tipicamente concisa – i cambiamenti interni al quadro sociale in cui è inserita. I cerchi colorati di Zeniuk o la porporina glitterosa rosso brillante di Rajlich, che si fa notare anche se ti opponi con tutto te stesso perché fa subito natale (sarà colpa anche della situazione meteo ad inizio maggio); e ancora, i ghirigori saltellanti azzurro/rosa accesi di un Griffa 2008, sono tutti elementi che portano alla stessa via di fuga evolutiva: l’inclusione predominante di tonalità sature e smaglianti. Ora prendere la scorciatoia e fare critica spiccia, tirando in ballo per l’ennesima volta la Pop Art – nemmeno fosse una pandemia o un’avanguardia geneticamente modificabile all’infinito – sarebbe troppo facile, perché il pop di superficie, inteso nei suoi valori puramente cromatici, colpisce solo gli artisti di fascia “debole”. Quelli poco “incisivi” insomma, e certo non è il caso della nostra triade. Più che “sfondare una porta aperta” inanellando possibili contaminazioni post-avanguardiste si preferisce pensare che l’artista – inteso come specie – darwinianamente per sopravvivere tenda ad adattarsi ai cambiamenti, compresi quelli di un tessuto sociale che, modificandosi negli anni, vanta richieste ben precise, raccolte da un’arte sempre più pericolosamente attenta ai bisogni del pubblico. Anche in maniera piuttosto “lecchina”. Un esempio immediatamente utile – volutamente al limite – è il lifestyle estetico promosso dai lavori “cool and full coloured” di artisti come Elad Lassry, e che tre pilastri ancora in piena attività possano per così dire “seguirlo” – volutamente virgolettato – fa parte del gioco. Se questo sia un bene o un male non sta a noi dirlo, ma certo è pur sempre specchio dei tempi.
Andrea Rossetti