La mostra Where the Unmeasurable meets the measurable inaugurata il 17 gennaio alla galleria ABC-ARTE a Genova, osserva e prende spunto dalle parole dell’architetto Louis I. Kahn: “Un grande edificio deve iniziare con l’incommensurabile, deve passare attraverso mezzi misurabili quando viene progettato e alla fine deve essere non misurabile.”, quindi il processo creativo non è fine a sé stesso ma funzionale a spiegarne le ragioni espressive più profonde, fino ad arrivare a qualcosa di inspiegabile materialmente. Si parte dalla materia e si arriva ad una forma più astratta e viceversa, qui “l’incomprensibile incontra il misurabile”.
Where the unmeasurable meets the measurable, 2020. Installation view at ABC-ARTE
La mostra a cura di Flaminio Gualdoni esplora infatti questo concetto e a percorrere le pareti della galleria sono quattro artisti diversi per nazionalità, generazione e contesto culturale: Alan Bee (1940-2018), Paolo Iacchetti (1953), Tomas Rajlich (1940), Nanni Valentini (1932-1985). Senza affinità come fossero delle piccole “personali” senza scopo sintattico, hanno il solo obiettivo di esporre il senso di singolarità irripetibile di ciascuno di loro attraverso le opere.
Paolo Iacchetti, Numerazioni Divergenti, 2017, 150x145cm, oil on canvas
Entrando nella prima sala riconosciamo subito le prime opere di Tomas Rajlich di medio e grande formato, dal titolo Untitled; i protagonisti sono essenzialmente i “moduli” industriali e regolari, griglie su pannelli e tela, dove la costante in tutte le sue opere è sicuramente la forza istintiva e vitale che li accompagna. L’artista non abbandona mai il suo criterio strutturale e segue un percorso ben definito sulle sue tele e tavole, con l’aggiunta però di una materia corposa che allude all’irrazionale e confonde la visione di chi guarda.
Where the unmeasurable meets the measurable, 2020. Installation view at ABC-ARTE
Nella seconda sala incrociamo i primi lavori inediti di Alan Bee, per la prima volta ABC-ARTE espone le sue pitture al pubblico; uomo di finanza tedesco e amante del collezionismo, ha dasempre avuto una passione segreta e sfrenata per la pittura e per sua disposizione ha autorizzato la diffusione delle sue opere solo dopo la sua morte.
Oltre alla pittura, influenzato anche dalle esperienze di Joseph Beuys con materiali come il miele, ha sempre avuto la passione per le api e per il loro mondo, infatti ha rielaborato in molti suoi lavori, come in Genesis, l’idea di alveari dai toni perlopiù caldi, mentre in opere come Free woman, Infinity o Freedom i colori si accendono e il ritmo di un alveare dagli equilibri perfetti si interrompe per lasciar vita a macchie di colore più contrastanti e alle forme più confuse (anche se pur sempre modulari).
Alan Bee è sicuramente una nuova scoperta per la Galleria di Antonio Borghese cheregala al fruitore una visione coinvolgente della vita, una vera e propria riflessione sulla nascita.
Nella terza sala si evidenziano principalmente i lavori di un altro artista: Paolo Iacchetti. Molte delle sue opere hanno nel titolo la parola Numerazioni, è una vera e propria ossessione quella che lo porta a sviscerarne il concetto in tutte le sue sfaccettature;Numerazioni nascoste, Numerazioni incomplete, Numerazioni lineari, Numerazioni Incoerenti, ecc. Questo concetto viene sottoposto ad un’attenta riproduzione astratta ed estetica e dalle forme apparentemente confuse, ma che in realtà sono studiate alla perfezione.
Iacchetti semplifica il colore per evidenziarne luce e spazio, così le sue opere diventano dei viaggi da percorrere, quasi dei labirinti senza fine che stranamente non incutono paura e sono quindi rassicuranti. Una spontanea dichiarazione d’amore nelle sue opere, elaborata nella sua casa luminosa e silenziosa (come lui stesso dichiara).
Nella sala successiva alle pareti troviamo i lavori di piccolo formato di Nanni Valentini, mentre le grandi sculture sono presenti in tutto il percorso della galleria. Valentini è uno scultore sapiente e umile, qui l’artigianato sfocia nell’arte con la A maiuscola e la materia diventa opera e viceversa; l’arte per lui è misura, metodo e poesia. L’immagine, le forme ed il segno sono la “terra” da plasmare, la materia è per lui luogo dove rifugiarsi; la terracotta, il ferro, la garza e tutto quello che è materia, prendono vita in forme armoniche, equilibrate, dalle linee rassicuranti.
Nell’ultima sala ritroviamo i lavori di tutti gli artisti, un dialogo pieno di contrasti e di assonanze, dove la vita di ognuno si mescola, alternando esperienze e passioni, dove tutti hanno sicuramente una cosa in comune: la vita sulla materia e la materia sulle dita, dove tutto si può misurare anche l’incomprensibile.
Tomas Rajlich, Untitled (tryptich), 1986, var. dimensions, acrylic on canvas
Benedetta Spagnuolo