Presentandosi come quattro personali di altrettanti illustri artisti che hanno fatto storia nell’ambito delle avanguardie artistiche della seconda metà del XX secolo, la mostra “Where the unmeasurable meets the measurable”, visibile fino al 13 marzo presso la galleria ABC ARTE di Genova, ci pone difronte ad un’intuizione elaborata dal genio dell’architettura Louis I. Kahn.
Curata da Flaminio Gualdoni, l’esposizione propone un percorso tra le opere di Alan Bee, Paolo Iacchetti, Tomas Rajlich e Nanni Valentini con l’obiettivo di verificare l’illuminazione di Kahn, secondo il quale l’opera «must begin with the unmeasurable, go through measurable means […], and in the end must be unmeasurable» but «what is unmeasurable is the psychic spirit. The psyche is expressed by feeling and also thought and I believe will always be unmeasurable». Le singolarità artistiche degli artefici sopra citati sono esperite in “Where the unmeasurable meets the measurable” attraverso lavori che evidenziano le profonde ragioni espressive da cui ha avuto origine il processo operativo attuato per produrli.
Si parte con il tedesco Alan Bee (Karlsfeld 1940 – Monaco di Baviera 2018), pseudonimo di un noto industriale e uomo di finanza che per decenni ha tenuto segreta la sua passione viscerale per l’arte. Le sue opere mettono a nudo la sua attenzione al mondo della natura inteso sia come sostanza primaria, generativa di vita, sia come tinta, colore che diviene protagonista assoluto del quadro. I suoi “oggetti pittorici” – così definiti dal curatore – non sono altro che «frutti d’un fare, e di un pensarsi fare, non ordinario profondamente motivato ma per accedere al quale non si possono utilizzare gli strumenti d’approccio consueti».
Alan Bee, Infinity, 1985, 100x200x9 cm, mixed media on board
Ricerca differente è, invece, quella attuata da Paolo Iacchetti (Milano 1953) poiché la sua pittura – contrariamente a quella di Alan Been che rinvia continuamente alla natura e agli organismi viventi – afferma sé stessa. Fin dai esordi pittorici degli anni Ottanta la sua indagine artistica è incentrata sulla creazione di immagini aniconiche basate su due principali direttrici: linea e forma/colore. Le sue tele, lavorate in serie, risultano tuttavia autonome tra loro: «Ogni opera un mondo» dichiara il curatore. La sua poetica, scevra da ogni intellettualismo, è meditazione sulla e della pittura guardando ossequiamene a quella contemplativa di Rothko.
Paolo Iacchetti, Drawning, 2015, 110x105 cm, oil on board
Un percorso vario e decisamente più interessante è quello del ceco Tomas Rajlich (1940) che, incontrando personaggi illustri del mondo artistico internazionale – da Ryman a Richter, da Marden a Charlton, da Martin a Girke – e aderendo in primis alla Pittura Fondamentale, si allontana dal minimalismo americano imperante negli anni Settanta. Se i suoi primi lavori sono caratterizzati da griglie regolari, moduli e bianchi assoluti, opere molto vicine alle esperienze italiane di Azimut e Piero Manzoni, dagli anni Ottanta il suo interesse inizia a propendere per l’oro e il nero arrivando a concepire tele metafisiche che ripensano gli ex-voto di Klein fino ad ammettere azzurri e rossi che hanno la sola pretesa di essere pure emanazioni della luce, pittura trascendentale in cui non vi è più nulla dell’originaria componente avanguardistica.
Tomas Rajlich, Untitled (tryiptych), 1986, 40x40 50x50 40x40 cm, acrylic on canvas
Infine, il mio sguardo è attratto dalle sculture plasmate da Nanni Valentini (Sant’Angelo in Vado 1932 – Vimercate 1985). Scultore atipico, originario delle Marche e riconosciuto come uno dei maggiori esponenti della scultura in ceramica del secondo dopoguerra. Dopo l’esperienza romana presso la Galleria La Salita di Liverani – dove strinse amicizia con Gastone Novelli, Emilio Villa e Gino Marotta – arriva, sul finire degli anni Cinquanta, a Milano. Qui conosce i fratelli Pomodoro, Tancredi e Fontana, che lo prende sotto la sua ala protettrice, per poi esporre nel 1976 presso la Galleria Milano di Carla Pellegrini. L’affermazione sulla scena meneghina gli comportò numerosi premi, nonché la partecipazione a La Biennale di Venezia e a numerose mostre nazionali ed internazionali fino a lasciare inaspettatamente un vuoto nel mondo dell’arte contemporanea di fine Novecento. Le opere plastiche qui visibili, databili ai suoi ultimi due decenni di vita, ci mettono di fronte a lavori spogli di ogni edonia visiva mostrandosi come puri elementi formali caratterizzati da colori propri degli stessi materiali impiegati. Eccezion fatta per Trasparenza (1974) che spicca rispetto ai toni bruni di Deriva (doppio), Deriva (fontana) e Casa (andata e ritorno), tutte riconducibili alla sua fase più matura. Il suo plasmare la terra come terra, come egli stesso ha dichiarato, non è altro che un mero «desiderio di far uscire le cose dall’esilio, dove abita il terrore di un io, e ricondurle all’origine, nel luogo del sacrificio della differenza…»
(Dedica di Nanni Valentini a Flaminio Gualdoni, datata 5 gennaio 1983, su una copia di Ombra delle idee di Giordano Bruno).
Nanni Valentini, Casa (andata e ritorno), 1980, 39x35x23cm, vitrified terracotta