Incontro ravvicinato con l'inconfondibile visione plastica dell'artista romagnolo, oltre cinquant'anni passati tra perizia calligrafica e monumentalità.
Pomodoro prima o poi lo incroci sul tuo cammino. Ed è proprio questo il nodo: molti lo conoscono, ma quanti veramente? Con una punta di malizia il pensiero va anche a quanti l’avranno confuso tra pezzi di arredo urbano, ma qui si uscirebbe dal seminato per scrivere un’altra storia: quella infinita tra artisti, arte pubblica e comuni italiani.
Gli interventi pubblici hanno innegabilmente contribuito alla riconoscibilità nazionalpopolare dell’artista di Morciano di Romagna. Ciò nonostante sbirciando tra l’estratto di antologica curato da Flaminio Gualdoni, fino al 14 ottobre da ABC-ARTE, s’intuisce quanto non gli abbiano troppo giovato. Sono operazioni che se da un lato danno grande visibilità ad una poetica, dall’altra se portate avanti con troppo zelo ne sciupano i contenuti, rendendoli una poco fruibile via di mezzo tra il déjà vù e il déjà dit. La cifra si tramuta in marchio di massa, divenendo un mezzo di comunicazione ripetitivo, per svuotarsi definitivamente. Volendo fare un parallelo, è come un collezionista che ragiona strettamente in termini d’investimento, quando in nessuna delle sue manifestazioni l’arte può contemplare la stesso trasporto di una dichiarazione dei redditi. O almeno dovrebbe.
Arnaldo Pomodoro, Cronaca 3: Ugo Mulas, 1976, 100x70 cm, bronze
L’altro Arnaldo Pomodoro da ABC-ARTE
L’Arnaldo Pomodoro che ritroviamo da ABC-ARTE è una storia diversa. Si conferma certo lo scultore magniloquente, delle grandi opere che si fanno valere per quei rapporti tra superfici lisce riflettenti-scabre assorbenti. Quello che delle stesse superfici vuole corrodere la purezza, aprendo alla visione sottopelle di una plasticità che diventa complessa ossatura scultorea.
Ma è particolarmente lo scultore che nei primi anni 60′ ha prodotto le Tavole dei segni, in cui si fa apprezzare per quella sua tipica dimensione calligrafica che muove tutto il suo universo creativo. È quello quindi dei lavori da guardare a poca distanza, e con tutta l’attenzione dovuta a quei segni che sembrano nascere dal bronzo; perché molto michelangiolescamente Pomodoro riesce a lavorare il bronzo estraendo da questo la forma, compiendo un azione plastica che si presenta in tutto il suo “togliere” piuttosto che “mettere”.
Duttile, ricordatevi questo aggettivo. Perché non è solo la fusione in bronzo ad esserlo, ma l’artista in tutto sé stesso. Che sa articolare quella sua peculiare calligrafia iso-arcaica nell’astrazione ritmica – alla Kandinsky – dei Frammenti; come pure in una scrittura dove la scultura si fa matrice di un bassorilievo “stiacciato” alla Donatello, per interpretare attraverso pagine di Cronaca crittografie dedicate ad amici/colleghi, come Ugo Mulas. Testi indecifrabili, diversamente dalla dinamicità alla Paolo Uccello della Battaglia di San Romano assunta dai suoi simboli/segni nel 1995, col piccolo studio Le battaglie. O nella metà degli ’80 dalla contraddizione in termini materici su cui verte l’imponente – e allegorico – Papiro I.
E se “tutte le strade portano a Roma” anche la Torre a spirale IV può trasportarci nuovamente nell’Urbe, tra i tanti obelischi che la puntellano e la Colonna Traiana. Una plasticità colta, che travasata in un monumentale obelisco purtroppo si perde tra lo smog e il traffico della Cristoforo Colombo.
Andrea Rossetti