È usuale utilizzare il nome del fondatore della Galleria come nome della stessa attività. Noi abbiamo deciso di non seguire questa tradizionale consuetudine, ma di trovare una dicitura che potesse metaforicamente rappresentare un concetto da noi sentito. Nello specifico, il significato di ABC – oltre ad essere potenzialmente l’acronimo di Antonio Borghese Contemporanea – rappresenta una partenza, l’inizio di un percorso progettuale, di un processo evolutivo. ABC Art è anche un movimento nato nella New York degli anni Sessanta, legato alla Minimal Art, che ha coinvolto, nella sua ricerca, la maggior parte degli artisti che rappresentiamo e con i quali stringiamo collaborazioni solide e durature. In ogni caso, mi piace il fatto che il nostro nome possa stimolare la libera interpretazione di chi lo legge, come per altro, vale per le opere d’arte degli artisti che rappresentiamo.
[non risponde]
Il processo di selezione di un artista, piuttosto che del tema da affrontare, avviene in maniera correlata. Il fil rouge che unisce le nostre scelte, infatti, risiede nel periodo storico e nella corrente artistica che ci identifica come Galleria specializzata e che di conseguenza, riflette la nostra mission. Tra le principali caratteristiche di quest’ultima vi è proprio la rivisitazione in chiave contemporanea di selezionate figure di spicco delle Avanguardie del Secondo Dopo Guerra. Inoltre, a Milano stiamo affrontando una nuova sfida: quella di presentare artisti di ultima generazione, anche grazie al solido aiuto del curatore Domenico De Chirico. Una volta concepita l’idea che rientra in questi parametri e requisiti, nei quali ci identifichiamo e che reputiamo di nostra primaria competenza, ci focalizziamo su un progetto specifico affrontato dall’artista selezionato e da lì ne deduciamo la tematica portante, confrontandoci con i curatori.
Per rispondere a questa domanda, parto dal primo campo di analisi, ovvero quello umano e personale che costruisco nel corso del progetto con ciascuno di loro. L’umiltà è sicuramente la caratteristica che più apprezzo nelle persone e, di conseguenza, negli artisti con i quali lavoro. Dal punto di vista professionale, invece, apprezzo le menti creative con una visione ben precisa e ricca di sfaccettature, inclini alla discussione costruttiva e al progressivo mutamento della personale ricerca artistica affrontata.
Mi diverte molto l’idea che, nel corso della carriera di alcuni artisti di successo o durante un particolare andamento del mercato, le valutazioni dei loro lavori possano crescere più o meno improvvisamente. In questo modo, da artisti precursori della loro epoca e, di conseguenza, incompresi ai più e selezionati da pochi e visionari intenditori, diventano automaticamente attuali e incredibilmente richiesti, suscitando l’interesse e la necessità da parte di molti di possederli.
Di un’opera, d’altronde, apprezzo nondimeno la non dipendenza dalle dinamiche di mercato, ossia il fatto che stabilmente si confermi il mercato quale parte più debole nel rapporto con l’arte.
Moltissime… ne avrei un elenco sconfinato, ma non mi sembra opportuno pubblicizzare la concorrenza.
Credo che la nostra attività sia a buon punto e che in molti riconoscono la nostra istituzionalità nel mondo dell’arte. Nonostante questo, sono pienamente conscio del fatto che il percorso è, e deve sempre essere, in mutamento e in perenne miglioramento. Per questo, risponderei a questa domanda dicendo che, al momento, stiamo lavorando molto sull’internalizzazione dei vari processi e ambiti lavorativi per formarci come team e come squadra, più forti che mai.
Della mia professione mi piacciono molte cose: in primis, la passione per alcuni artisti, per determinate ricerche e selezionate correnti artistiche, hanno fatto sì che questo fosse il mio lavoro e la mia strada. La visione meno poetica di me, risponderebbe invece che amo sentire squillare ripetutamente il telefono ed ascoltare dall’altra parte della cornetta persone che ci contattano per acquistare opere di artisti di cui abbiamo il magazzino pieno. È bello poter confermare ciò che si pensava sarebbe successo.
Penso che oggi l’idea di estero sia un retaggio del passato. Al giorno d’oggi non credo che ciò che davvero conta per un’attività sia la posizione geografica della sua sede, quanto piuttosto la qualità e la serietà del lavoro che essa svolge e la posizione identitaria che è capace di delinearsi. Sul filone di questo ragionamento, troverei più interessante avere uno spazio nel Metaverso o in un hangar di un importante scalo aeroportuale o, ancor meglio, un bello spazio ai Tropici.
Il mondo dell’arte si è già evoluto, e sono tutti temi estremamente attuali. Il mondo dell’arte non cambierà perché l’arte non cambierà. Quello che sembra un cambiamento è in realtà un’evoluzione riguardante alcuni aspetti tecnici e di fruizione, ma i collezionisti, gli artisti e i musei mantengono inalterato il loro fondamentale ruolo all’interno di un sistema che premia sempre più il processo di trasparenza e di certificazione.
Ritengo sia davvero una questione aperta e credo che i progressi fatti in relazione alle prime vendite esenti dal D.D.S. ne denotino una parziale difficoltà interpretativa in fase di attuazione della direttiva comunitaria.
Anche questo potrebbe essere inteso come un ulteriore elemento di svantaggio e una chiara limitazione anacronistica del diritto rispetto ai tempi che viviamo: non si può parlare di Metaverso o di blockchain se allo stesso tempo permettiamo vantaggi a gallerie piuttosto che ad altre, a seconda della loro fisica collocazione geografica. Allo stato attuale poi, ad esempio, i miei colleghi svizzeri non pagano il diritto di seguito. Per quanto riguarda invece, i diritti di produzione riservati, sono pienamente convinto che siano da tutelare con tutte le forze a nostra disposizione.