Giorgio Griffa, Esonerare il mondo, Abc Arte Genova
Andrea Rossetti, Exibart, Andrea Rossetti, Gennaio 9, 2016
Salendo le scale si legge: «Condensata in ogni linea, in ogni colore, in ogni ritmo, è il farsi stesso della pittura, quel suo inevitabile attingere al fondo di sé stessa e a tutte le tappe del suo glorioso cammino evolutivo». Arrivi in cima, entri e trovi che acrilici variamente diluiti sono serviti a produrre altrettanto vari tipi di linee, orizzontali, oblique e verticali; file di bastoncini con più o meno la stessa primitività di quelli di un bambino che sta imparando a contare, a prendere coscienza del mondo e delle sue logiche. Chi mastica un po' di storia dell'arte contemporanea la chiama Pittura analitica. Ma in quella punta "bambinesca" c'è il segreto di Giorgio Griffa (Torino, 1936), e della sua versione pittorica semplificante secondo un senso personale, più che propriamente analitico.
Gli spazi della centralissima Abc Arte, la curatela di Ivan Quaroni, una retrospettiva focalizzata sulla produzione seventies dell'artista. C'è dell' esistenzialismo nell'Esonerare il mondo che per il torinese coincide col periodo storico dei Segni primari, e punzecchia il qui pro quo intorno ad un azione titolare (concetto carpito all'adorato filosofo Arnold Gehlen) che lascerebbe presagire la scissione definitiva tra pittura e realtà. In realtà - e permettete il gioco di parole - le cose stanno diversamente, ed è il verbo dell'abilissimo Quaroni (perfettamente diffuso, con brani del testo a catalogo distribuiti per le varie sale) a materializzarsi per mettere sul binario giusto Griffa, artista che «sintetizza il mondo», la cui pittura è «soggetto che attraverso il segno e colore esonera il mondo, cioè lo riepiloga». Il suo processo pittorico sta nella corrente analitica, ma non allineato come quello di un Claudio Verna o un Claude Viallat, benché di quest'ultimo in molti casi ricordi il topos segnico. Adepto eccezionalmente distaccato dalla visione analitica, Griffa usa quest'ultima da doppiogiochista, più interessato in qualche modo a "conquistare" il mondo che a recintare i confini della pittura. Ancora esemplificativo Quaroni quando scrive che «proprio perché semplici, facili, e riproducibili, i suoi segni a differenza di quelli di altri artisti astratti in cui emerge, invece, una marca identificativa, "autoriale", sono universali».
Non fosse chiaro, Esonerare il mondo è il passionale rapporto tra vocabolario pittorico e universo noto, attraverso cui l'artista è giunto ad una soluzione astratta non priva di realismo inteso come "contatto con la realtà".
Tele in cotone o iuta trattate come piccoli arazzi, appese solo dall'estremità superiore con sottili chiodi, cui basterebbe solo un po' di vento per fluttuare, arricchite dai segni delle piegature come quelli sul centrino della nonna, lavato, stirato e riposto. Tracce incavate che dividono la tela, magari con un sistema a croce come in Orizzontale verticale, dove gli irregolari passaggi di colore regolano lo spazio pittorico senza costrizioni, allargandosi naturalmente tra le fibre. Valevole la varietà cromatico-segnica presentata, soprattutto nel dare enfasi a quella sospensione dell'impronta sul supporto che lascia ipoteticamente aperta - e umanamente imperfetta - l'azione artistica; cifra creativa in cui è individuabile anche una contiguità sonora, dove se per John Cage silenzio non è negazione della musica in un componimento, per Griffa la mancanza di segno colorato non è vuoto sulla tela, ma parte integrante dell'opera. E la piccola juta Due colori in fondo è una partitura particolarmente libera, dove il ritmo è cadenzato con la giovialità di un testo cromatico in cui fa tanto l'alternanza lilla/rosa.
Filosofeggiare in Griffa collima sempre con l'atto pratico di un'astrazione che preserva la sua percezione della quotidianità; opere come Segni orizzontali policromo del '75 - la cui ampia regolarità segnica/varietà cromatica forma una sorta di avvolgente panorama - e Orizzontale del '79 - dove il verde "prato" impera sul marrone "terra" della juta - sono di per loro una lezione di astrattismo fondato su rapporti armonici semplici, riscontrabili, realmente naturali.